Portiamoci la primavera dentro. Pensieri ai tempi del COVID.

di Roberta Giungati

Portiamoci la primavera dentro. Pensieri ai tempi del COVID

Dal Libro rosso di C.G.JUNG:

“Capitano, il mozzo è preoccupato e molto agitato per la quarantena che ci hanno imposto al porto. Potete parlarci voi?” “Cosa voi turba ragazzo? Non avete abbastanza cibo? Non dormite abbastanza?” “Non è questo, Capitano, non sopporto di non poter scendere a terra, di non poter abbracciare i miei cari”. “E se vi facessero scendere e foste contagioso, sopportereste la colpa di infettare qualcuno che non può reggere la malattia?” “Non me lo perdonerei mai, anche se per me l’hanno inventata questa peste!”

“Può darsi, ma se così non fosse?” “Ho capito quel che volete dire, ma mi sento privato della libertà, Capitano, mi hanno privato di qualcosa”. “E voi privatevi di ancora più cose, ragazzo”. “Mi prendete in giro?” “Affatto … Se vi fate privare di qualcosa senza rispondere adeguatamente avete perso”. “Quindi, secondo voi, se mi tolgono qualcosa, per vincere devo togliermene altre da solo?” “Certo. Io lo feci nella quarantena di sette anni fa” “E di cosa vi privaste?” “Dovevo attendere più di venti giorni sulla nave. Erano mesi che aspettavo di far porto e di godermi un po’ di primavera a terra. Ci fu un’epidemia. A Port April ci vietarono di scendere. I primi giorni furono duri. Mi sentivo come voi. Poi iniziai a rispondere a quella imposizione non usando la logica. Sapevo che dopo ventuno giorni di un comportamento si crea un’abitudine, e invece di lamentarmi e crearne di terribili, iniziai a comportarmi in modo diverso da tutti gli altri. Prima iniziai a riflettere su chi, di privazioni, ne ha molte e per tutti i giorni della sua miserabile vita, per entrare nella giusta ottica, poi mi adoperai per vincere. Cominciai con il cibo. Mi imposi di mangiare la metà di quanto mangiassi normalmente, poi iniziai a selezionare i cibi più facilmente digeribili, che non sovraccaricassero il mio corpo. Passai a nutrirmi di cibi che, per tradizione, contribuivano a far stare l’uomo in salute. Il passo successivo fu di unire a questo una depurazione di malsani pensieri, di averne sempre di più elevati e nobili. Mi imposi di leggere almeno una pagina al giorno di un libro su un argomento che non conoscevo. Mi imposi di fare esercizi fisici sul ponte all’alba. Un vecchio indiano mi aveva detto, anni prima, che il corpo si potenzia trattenendo il respiro. Mi imposi di fare delle profonde respirazioni ogni mattina. Credo che i miei polmoni non abbiano mai raggiunto tanta forza. La sera era l’ora delle preghiere, l’ora di ringraziare una qualche entità che tutto regola, per non avermi dato il destino di avere privazioni serie per tutta la mia vita. Sempre l’indiano mi consigliò, di prendere l’abitudine di immaginare della luce entrarmi dentro e rendermi più forte. Poteva funzionare anche per quei  cari che mi erano lontani, e così, anche questa pratica, fece la comparsa in ogni giorno che passai sulla nave. Invece di pensare a tutto ciò che non potevo fare, pensai a ciò che avrei fatto una volta sceso. Vedevo le scene ogni giorno, le vivevo intensamente e mi godevo l’attesa. Tutto ciò che si può avere subito non è mai interessante. L’attesa serve a sublimare il desiderio, a renderlo più potente. Mi ero privato di cibi succulenti, di tante bottiglie di rum, di bestemmie ed imprecazioni da elencare davanti al resto dell’equipaggio. Mi ero privato di giocare a carte, di dormire molto, di oziare, di pensare solo a ciò di cui mi stavano privando”  . “Come andò a finire Capitano?” “Acquisii tutte quelle abitudini nuove, ragazzo. Mi fecero scendere dopo molto più tempo del previsto. “Vi privarono anche della primavera, ordunque?” “Sì, quell’anno mi privarono della primavera, e di tante altre cose, ma io ero fiorito ugualmente, mi ero portato la primavera dentro, e nessuno avrebbe potuto rubarmela più”.

Non potevo scegliere lettura diversa come introduzione del mio nuovo articolo, considerando il  delicato periodo storico che tutti stiamo attraversando. Questo tempo genera in ognuno di noi angoscia e paura. Spesso questa emozione ci avvolge totalmente o ci pone nella prospettiva di una totale negazione della stessa. Ma la paura, così come le altre emozioni, racchiude in sé un’energia positiva di cui possiamo nutrirci solo se scegliamo di attraversarla. Attraversare significa toccare, vedere, scoprire, conoscere … e la conoscenza, come si sa, scioglie ogni paura.

Se ci fermiamo un attimo e riflettiamo su ciò che più ci spaventa, la risposta è … “il non sapere”. Quindi anche negare o lasciarsi assorbire dalla paura non ci consente di percorrere la strada del vero, quindi, ci lascia nel buio della non conoscenza, perché la mente è accecata dalla totalità del rifiuto o dal suo opposto, lasciandoci navigare nei nostri timori, rispetto alla solitudine, la dipendenza, la separazione, l’autonomia, la malattia e la morte.

Attraversare, significa riemergere con nuove consapevolezze nel rispetto dei propri timori. Rispettare i propri timori, quindi le proprie paure, significa accoglierle, accarezzarle e ciò ci permetterà di lasciarle andare.

La paura non deve essere, però, considerata elemento negativo, ma tutt’altro, sana ed evolutiva. Essa è salvifica, ci pone “sull’attenti” rispetto ad eventuali pericoli. Non accoglierla, rifiutarla, potrebbe essere dannoso … così come potrebbe essere dannoso lasciarsi prendere dal panico, puro ostacolo per la nostra lucidità. Parlare alle nostre paure in maniera autentica vuol dire preservare la nostra vita interiore e fisica, perché l’una poggia sull’altra, nonostante siano molti gli stimoli che diventano ami in grado di allontanarci da noi stessi, facendoci perdere di vista .

Dunque, lasciamo che i fiori sboccino in noi, portiamoci la primavera dentro, affinchè nessuno potrà mai rubarcela…

                                                                            

Pubblicato da dirittodifamigliaepoi

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